“Mistress America” è il manifesto generazionale delle giovani donne trentenni in cerca di se stesse e di uno scopo nel mondo.
Come nel già meraviglioso “Frances Ha”, la mitica Greta Gerwig tocca al cuore le sue coetanee con il personaggio di Brooke una reinterpretazione duepuntozero del “faccio cose, vedo gente” di nannimorettiana memoria.
La sua Brooke è una fragile ragazza con la sindrome da eterna sognatrice e dalla logorroica inventiva che si ri-conosce nella futura sorellastra Tracy, una ragazzina smarrita e in cerca del suo posto in un college di seconda serie (a dimostrazione delle falle presenti anche nel sistema universitario americano). Grazie a una sceneggiatura da manuale e a una colonna sonora a-temporale, il film mostra il rapporto simbiotico (nonchè da analisi transazionale, Eric Berne avrebbe gradito molto) tra le due sorellastre che avranno bisogno di una reciproca agnizione per capire che il reciproco ritrovarsi donerà loro la speranza di un domani diverso, nonostante il precariato non lasci tra le mani altro che qualche desiderio (ir)realizzabile.
Ho pianto molto nel finale del film perchè Brooke mi assomiglia molto e ri-vedersi in un film è un dono raro. Solo chi ascolta e sente la vita vera sa poi raccontarla. Thanks Greta, thanks Noah.
P.S.: dopo aver visto “Mistress America” sono d’accordo su giudizio di Goffredo Fofi sulla “vecchiezza” de la “Pazza Gioia”. Vedere per credere.
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.